Angela fa parte del personale sanitario di un ospedale triestino. Un giorno scopre che è ricoverato in terapia intensiva Francesco Gorian amico in età giovanile e poi datore di lavoro di suo marito Andrea, morto per esposizione all’amianto. Lo stesso è accaduto al consorte dell’amica Elena che ora sta a sua volta subendo l’attacco dello stesso male. Il figlio di Gorian chiede ad Angela di fare da badante al padre. Angela accetta.
Un film dedicato a tutti coloro che hanno perso la vita a causa dell’amianto in cui si affrontano dinamiche psicologiche di notevole spessore.
Si apre con una sequenza onirica di un processo questa opera prima che ha conseguito meritatamente il premio come miglior film della sezione dedicata al cinema italiano al BIF&ST. A partire da quell’incubo si dipana una vicenda che i due coprotagonisti sostengono con una straordinaria aderenza ai loro personaggi. Valentina Carnelutti ci ha abituato (e non è una definizione riduttiva) ad interpretazioni di una notevole intensità che in questa occasione ripropone delineando anche solo con le espressioni del volto i sentimenti contradditori che attraversano l’animo di Angela.
La donna, come professione ha la missione di aiutare chi è sottoposto alle sue attenzioni al fine di migliorarne lo stato di salute ma per lei questa può essere un’occasione per attuare una sottile vendetta. Ha però di fronte il figlio di lui, un giovane profondamente diverso dal genitore che non deve vedersi caricato delle colpe del padre. Il quale è affidato a Branko Zavrsan che deve recitare solo con il corpo essendogli stato sottratto l’uso della parola a causa della malattia che ha colpito Francesco.
Ecco allora che tutto si concentra inizialmente nello sguardo per poi passare progressivamente alla riacquisizione di una parte della motilità che gli consente gesti limitati ma carichi di rabbia e di volontà di sopraffazione. In parallelo si sviluppa la vicenda dell’amica Elena che, passo dopo passo, perde le proprie facoltà non rinunciando però al desiderio di far valere le proprie ragioni (cosa che il Tribunale non ha fatto).
Le dinamiche che si instaurano tra le dramatis personae di questo, va sottolineato, pregevole film vanno oltre la denuncia di una malversazione consapevole e criminale che ha causato e causa approssimativamente e globalmente più di 100.000 decessi ogni anno. Perché ciò che in parallelo interessa ad Ivan Gergolet è indagare nella psicologia di una vittima e di un aggressore che potenzialmente si trovano a ruoli ribaltati.
La vendetta potrebbe essere l’unico obiettivo di Angela ma le vie per attuarla passano attraverso il contatto diretto con una realtà complessa che prevede anche la presenza dei due figli (la sua e quello di Gorian) di cui una è consapevole di quanto accaduto mentre l’altro lo è solo in parte. L’uso dell’accento triestino e, con misura, dello slavo, potrebbe limitare la distribuzione del film ma chi lo potrà vedere avrà modo di accorgersi come sia funzionale alla localizzazione di una vicenda che si svolge in un’area di confine che potenzia il significato profondo di un film in cui i confini scavati tra le persone trovano una loro inattesa ridefinizione.
ARTICOLO DI Giancarlo Zappoli
Fonte: Mymovies